venerdì 23 settembre 2016

ALLA RICERCA DI DORY - LA RECENSIONE SENZA SPOILER


Se c’è una cosa da dire sulla Pixar è che, perlomeno, quando non ne ha voglia te lo fa capire fin da subito.
Come accaduto con
Il Viaggio di Arlo l’anno scorso (titolo passato talmente sotto silenzio che non se l’è cagato praticamente nessuno), quando la Pixar in un titolo non crede molto si limita a farlo uscire senza troppa risonanza mediatica, senza supportarlo con un battage pubblicitario adeguato come invece aveva fatto con l’ubiquo Inside Out, per dire.
Ma se c’è proprio una-cosa-una-sola da dire sulla Pixar è che, per quanto in un suo film non sembri  crederci, non ce la fa neanche impegnandosi a far uscire un brutto film. Proprio non ce la fa.

E così dopo 13 anni (minchia, già…) arriva in sala ALLA RICERCA DI DORY, sequel/spin-off di quel meraviglioso road movie che era Alla ricerca di Nemo, uno dei più grandi successi dell’accoppiata Disney/Pixar già entrato a pieno titolo nell’immaginario collettivo di tutto il globo.
Avete presente quando bambini e (già più grave) adulti vedono un acquario con pesci pagliaccio e pesci chirurgo e se ne escono con “quello è un nemo e quello un dory”? Ecco.
Ma veniamo al punto: com’è questo nuovo viaggio nel mare in CGI più spettacolare del mondo dell’animazione contemporanea? Risposta quanto mai complessa, invero.




Come per quei seguiti che nella stragrande maggioranza dei casi ricalcano in maniera pedissequa il fortunato originale con cui devono fare i conti, ALLA RICERCA DI DORY riprende la struttura e lo sviluppo del suo illustre predecessore invertendo giusto un paio di protagonisti e inserendo nuovi personaggi per arricchire il pantheon (e il pupazzame nei Disney Store, ovvio) giocando apparentemente facile: è un seguito semplice e sincero, immediato e molto lineare nel seguire un solco già tracciato senza buttare sul piatto nulla di innovativo né alzando il tiro con una chiave di lettura a più livelli (così a freddo mi viene in mente lo struggente
Toy Story 3, ma anche la psicologia for dummies di Inside Out, o l’agrodolce senso della vita di UP ).
Nel primo film avevamo come protagonista un padre iperprotettivo che, per eccesso di ansia dovuta ad un avvenimento traumatico del suo passato, finiva per perderlo davvero il figlio (e non venitemi a dire che il primo film era incentrato sulla disabilità, perché Nemo la sua pinna atrofica l’ha sempre usata più che bene senza mai struggersi o farne un peso); qui si gioca spesso (troppo) e volentieri con il problema di Dory, stando molto attenti a restare sempre sul filo del rasoio, quasi come se in fase di sceneggiatura gli autori non fossero sicuri sul tono con cui affrontare la questione: vogliamo far ridere la gente con questa cosa che la nostra protagonista non si ricorda una mazza ogni due per tre? Oppure vogliamo rendere la sua situazione davvero drammatica, facendo del suo handicap il suo problema principale, l’ostacolo che Dory dovrà superare per risolvere la sua situazione e, in qualche modo, la vicenda?




Questo è forse il più grosso limite dell’ultima fatica Disney/Pixar, il non aver rischiato lasciando la via vecchia per la nuova, certi della riuscita del progetto grazie anche a un universo immaginifico ormai ben delineato e riconoscibile, e a quanto pare gli incassi gli stanno dando pienamente ragione: la macchina ormai è ben oliata e si guida quasi da sola, un tranquillizzante K.I.T.T. subacqueo che, ti rendi conto appena sali a bordo, ti porterà sano e salvo alla meta.
Tralasciando il discorso da
se mia nonna aveva le ruote sul fatto che i seguiti non sono mai all’altezza degli originali (che è una cazzata di suo perché, nonostante le eccezioni si contino sulle dita di due mani, queste esistono e sono pure belle grosse), alla fin fine ALLA RICERCA DI DORY gioca facile le sue carte e porta a casa il risultato, perché al netto di quanto detto sopra, di una partenza lenta e di un paio di tempi morti nella parte centrale, il film diverte e intrattiene, ti fa affezionare alla protagonista e al suo problema come faceva nel primo, ti fa apprezzare ancora di più la figura del piccolo e cazzutissimo Nemo (nomen omen), ti fa spanciare con un alcuni personaggi nuovi fuori di testa come quei tre marmittoni dei leoni marini, quell’oca anatra di Becky e soprattutto col vero valore aggiunto del film, il burbero polipo Hank, reso magnificamente sia a livello concettuale che realizzativo, e ovviamente gioca l’asso con il concetto di famiglia, anche se Adinolfi potrebbe obiettare in proposito ma questo è un discorso a parte. 



Graficamente bellissimo anche se si è visto di meglio (e guardate che non è un caso), sul fronte doppiaggio si è fatto un gran bel lavoro, non che dalla Disney mi sarei aspettato di meno, ma coi tempi che corrono non si può mai davvero sapere.
Quindi, tirando le somme, un seguito non fatto tanto per fare ma comunque non all’altezza dell’originale, per quanto non si possa proprio parlare di film non riuscito: le risate ci sono, l’anima c’è, la tavolozza dei sentimenti non manca di certo e, a conti fatti, si esce dal cinema senza il retrogusto amarognolo degli 8 euro e cinquanta buttati nel cesso della speranza.
Tra la via vecchia e quella nuova, ALLA RICERCA DI DORY va sul sicuro e, consapevole di giocare su un terreno già battuto, non fallisce.
Rimane solo il dubbio su come sarebbe stato prendere l’altra via ed esplorare questo oceano di meraviglia sotto un’altra prospettiva, senza l’obbligo di seguire un percorso sicuro che bene o male sappiamo già tutti dove porta.
IN BREVE: Un seguito leggero e divertente, più adatto a un pubblico giovane che al solito range ampio alla quale siamo abituati. Introduce un paio di personaggi validi seguendo in modo quasi pedissequo le orme del primo capitolo senza prendersi rischi. Funziona, ma i picchi di qualità Pixar sono ben altri.
A ‘sto punto speriamo solo che fra qualche anno non si perda pure il padre.
VOTO, SE PROPRIO DOBBIAMO FARE NUMERO: 7
 

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