Diciassette anni fa sbancava i cinema uno dei più riusciti
progetti di marketing contemporanei, un film evento esploso col fondamentale aiuto
di internet e grazie al quale il mockumentary e il found footage raggiunsero di
prepotenza il grande pubblico dando il via a una nuova ondata di pellicole
amiche intime della xamamina.
Quel progetto era il fortunatissimo The Blair Witch Project, un nome che (almeno per quelli della mia generazione) non ha bisogno di presentazioni.
In questi giorni nei cinema è uscito invece BLAIR WITCH, nominalmente spacciato come il seguito del campione d’incassi del 1999 e, spinto dal ricordo e dall’idea di un vero seguito, sono andato a vederlo. E?
E, come diciassette anni fa, sono andato al cinema a rivedermi The Blair Witch Project.
Spaesamento, acido e sospetto d’inculata compresi nel prezzo.
Quel progetto era il fortunatissimo The Blair Witch Project, un nome che (almeno per quelli della mia generazione) non ha bisogno di presentazioni.
In questi giorni nei cinema è uscito invece BLAIR WITCH, nominalmente spacciato come il seguito del campione d’incassi del 1999 e, spinto dal ricordo e dall’idea di un vero seguito, sono andato a vederlo. E?
E, come diciassette anni fa, sono andato al cinema a rivedermi The Blair Witch Project.
Spaesamento, acido e sospetto d’inculata compresi nel prezzo.