martedì 25 ottobre 2016

INFERNO - LA RECENSIONE SENZA SPOILER


Alla fine, come preannunciato la volta scorsa, svicolando tra un impegno e l’altro me lo sono finalmente visto questo INFERNO di Dan Brown Ron Howard, e…com’era la storia delle aspettative?
Già, che non bisognerebbe mai averne troppe. Quindi ci troviamo davanti a una merda? No.
Ah, ma allora è un capolavoro! No, manco per la cippa.
Ma cerchiamo di andare con ordine.

Premetto innanzitutto che l’omonimo e ispiratore romanzo di Dan Brown (colpevole!) non l’ho mai letto, perciò questa non sarà una recensione incattivita da lettore-classic-incazzato-random che “ommioddio ma cosa avete fatto, Langdon nel libro aveva la barba, Sacrilegio! e Sienna era un travestito! Come avete potuto! E il Rettore in realtà aveva un parco di dinosauri in Costa Rica che gli ha detto malissimo e…” no, niente del genere, la mia opinione su INFERNO si basa solo e unicamente sulla visione del film.
E diciamo che la visione mi ha deluso abbastanza e anzichéno.

Ora, il terzo capitolo della vita avventurosa di quel fenomenale secchione di Robert Langdon, vita cinematografica partita col non riuscitissimo Codice Da Vinci e proseguita con l’ottimo Angeli e Demoni (che sarebbe il prequel ma vabbè) parte già da un incipit abbastanza zoppicante: non sto parlando del megalomane Zobrist e della sua per certi tratti condivisibile volontà di sfoltire il genere umano, a partire tipo dagli anziani perennemente in coda alle poste o da quelli che girano senza mettere la freccia, quanto al solito, vecchio e abusatissimo tema del protagonista che soffre di amnesia, una roba che già vent’anni fa sapeva di vecchio, evvabbè, sbuffiamo e facciamocene una ragione.
Insomma c’è che il megalomane di prima ha creato un terribile virus, Inferno, una nuova peste in grado di decimare la popolazione mondiale per ovviare al problema del sovraffollamento, e come ogni buon cattivo dei cartoni animati si è lasciato dietro intenzionalmente una serie di indizi e riferimenti artistici assurdi perché sennò, giustamente, rischiava di vincere facile, e Langdon (preda di allucinazioni infernali digitali fatte malissimo) ovviamente ci si trova incasinato insieme all’OMS, all’unica dottoressa americana di Firenze e ad altri comprimari e comparsine monodimensionali, che inevitabilmente sapranno condurlo sulla giusta strada. A volte pure a colpi di botte di culo clamorose.



Già la premessa non è delle migliori, e purtroppo non lo è neppure la messa in scena nel suo insieme, che in fondo era quel minimo su cui si poteva almeno contare trattandosi di un film di Ron Howard, regista che personalmente apprezzo molto (Rush, A Beautiful Mind, Angeli e Demoni, Apollo 13 e Cinderella Man, tra i tanti, sono indiscutibilmente un signor curriculum).
Diversamente dai primi due libri/romanzi, nei quali la “caccia al tesoro” era gestita molto bene e dava perlomeno (sospensione dell’incredulità mode: on) una sensazione di autentico intrico di enigmi da svelare, dove i vari percorsi, manufatti storici e messaggi subliminali all’interno delle opere erano sempre gestiti sul filo del ragionevole dubbio, al netto delle americanate incluse nel prezzo, in INFERNO di tutto questo non vi è traccia.
Tutto il percorso messo in piedi dal Zobrist per trovare il suo virus “dantesco” è fastidiosamente pretestuoso, tanto per usare un eufemismo, le connessioni fra le varie opere sono legate con lo sputo e i ragionamenti attuati per arrivare a una soluzione o a un luogo ben preciso sono talmente scemi e banali che al confronto Il Mistero dei Templari sembra un film per persone intelligenti.

Tom Hanks con quei due chili di panza in meno (e una faccia non sua)
L'unica dieta che fa miracoli è Photoshop


Il cast, nonostante alcuni nomi importanti, non aiuta: i rapporti fra i protagonisti sono gestiti all’insegna dell’ “Ehi, chi si vede!”, Tom Hanks in primis sembra non averne voglia e ai vari cartonati personaggi che gli ruotano attorno puoi appuntare un cartellino mentale nel momento stesso in cui compaiono sullo schermo: amante perduta! check, l’infame! check, doppiogiochista! check, villain! check, e così via.
Il piattume.
La regia di Howard, per la prima volta da che ne ho memoria, appare piatta e svogliata: certo, alcune vedute di Firenze e Venezia tolgono il fiato, ma sfido chiunque a tirarne fuori qualcosa d’indecente con una ripresa aerea.
Il resto purtroppo risulta fintissimo, trascurato, alcuni set sono fastidiosamente posticci e poco credibili, mentre le scene d’azione, in un film che fondamentalmente dovrebbe essere una grande “fuga culturale” dall’inizio alla fine, sono fiacche in modo irritante, tanto che quando un personaggio muore arriva a fregartene poco o niente, tanto la scena risulta fintissima e il morto monodimensionale.



Tutto questo crea ancora più fastidio se si ripensa ad un film di tutt’altra fattura come il precedente Angeli e Demoni, che riusciva a trasmettere la frenesia e la potenza di un’ottima storia d’azione con protagonista un uomo comune travolto dagli eventi che col solo acume riusciva a risolvere la faccenda.
Non parliamo poi della figura da cioccolatai interdetti che facciamo noi, poi, che la scena del furto della maschera nel museo è un monumento all’idiozia italiana come non se n’erano mai visti.
INFERNO di Ron Howard è un po’ la sagra dell’occasione persa e dell’aspettativa sprecata, un risultato mediocre che può andare bene per un film da seconda serata tra i Bellissimi di Retequattro o per i fan di The Librarian (ne esistono?) non certo per quello che dovrebbe essere cinema di alto livello, una produzione internazionale altisonante, ma è risaputo che Sony con le sue galline dalle uova d’oro non trova mai di meglio da farci se non il brodo.
Peccato.
IN BREVE: Film lento e prevedibile pieno di personaggi stereotipati, intrigo fin troppo lineare e percorso ad enigmi pretestuoso, Tom Hanks non ne ha voglia e si vede.
Angeli e Demoni sembra davvero di un altro pianeta. E di un altro regista.
VOTO, SE PROPRIO DOBBIAMO FARE NUMERO: 5 ½

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